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I.R.S.A.P. Agrigentum
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Ignazio Buttitta
                      
Bagheria (PA) 19/09/1899 - 5/04/1997

 

 

 Ascolta la sua voce
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Il dialetto siciliano
Lingua e dialttu 1970
Riflessioni
Villabate 1972

Uno dei più grandi poeti dialettali siciliani contemporanei,  l'unico poeta italiano a cui un editore prestigioso come Feltrinelli ha dato ampio spazio. 
Nessun poeta vernacolare (in tutto il mondo) fino ai nostri giorni ha pubblicato cinque volumi con un editore di questo calibro.

Autodidatta, egli si serve della cronaca per esprimere le problematiche e le aspirazioni sociali del proletariato. La poesia di Ignazio Buttitta traduce in versi un secolo di storia sociale, politica ed intellettuale della Sicilia.
Visse in prima linea: le lotte contadine, le due guerre, l’antifascismo, la lotta contro la mafia e la classe politica post-bellica.

Nella sua vita intraprese diversi  mestieri: garzone, macellaio, salumiere, grossista in alimenti, rappresentante di commercio ed altro.

Il 15  ottobre  1922,  alla  vigilia  della  “marcia su Roma”,  capeggiò nel suo  paese una sommossa popolare,  nello stesso anno fondò il  circolo di cultura “Filippo Turati che settimanalmente pubblicava un foglio  “La povera gente”. 

Fino  al 1928  fu condirettore del  mensile palermitano di  letteratura dialettale “La trazzera”,  soppresso  dal  fascismo. Dopo aver pubblicato “Sintimintali  (1923)” e  il poemetto “Marabedda (1928)” il poeta ufficialmente tacque, ma le sue poesie continuarono a circolare clandestinamente.  La sua  prima  poesia antifascista  fu pubblicata nel  1944  sul secondo numero  di  “Rinascita”. 

Nel 1954, con “Lu pani si chiama pani”, Buttitta ricominciò a  pubblicare le sue opere, che  gli diedero fama internazionale. Nel 1943 Bagheria fu bombardata e Buttitta,  per allontanare  la famiglia  dai  pericoli  della
guerra, si trasferì  a Codogno (MI). Riteneva di  poter  tornare  da  solo  in  Sicilia,  ma  lo sbarco  degli  alleati gli  impedì di attraversare  lo stretto di Messina.          

Quando, dopo la liberazione tornò in  Sicilia,  trovò i suoi magazzini di  generi alimentari saccheggiati e danneggiati. Per poter tirare avanti (aveva già quattro figli), fu costretto a ritornare in  Lombardia intraprendendo l’attività  di  rappresentante di commercio. Questo  fu  un importante  periodo di approfondimento  per  il poeta, che poté incontrare e frequentare quasi ogni sera Vittorini e Quasimodo.  
Nel  1960  si  stabilì definitivamente a Bagheria dove da quel momento poté dedicarsi alla poesia con maggiore serenità, realizzando  così  un vecchio sogno.

Il 5  aprile 1997 si spegne a Bagheria con la devota assistenza dei familiari.

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Ignazio Buttitta definito “poeta di piazza” è uno dei  “siciliani” importanti di questo secolo che si è cocluso,  un uomo che  non  ha  mai nascosto  le  sue  radici,  ma anzi  le ha sbandierate attraverso la scrittura e la sua presenza sulle scene del mondo, con la dignità che si addice al vero pensatore libero. 

Tali  radici  non  potevano  venire  meno se egli amò circondarsi di altre “sicilianità” note e importanti come Leonardo Sciascia,  Renato Guttuso, Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo, Rosa Balistreri,  i  cui  sodalizi  si rivelarono essenziali e diversificatori al suo mondo fantastico e carismatico. 
Egli sapeva “prendere” le  folle  delle  piazze,  era  cosciente del  fatto che,  con  il  suo modo di  comunicare  agli  altri le istanze popolari ed umane racchiuse nei suoi versi, avrebbe  raggiunto  il  cuore  di  tutti, disdegnando apertamente inutili protagonismi.
Essendo a sua  volta “caricato” dalla  gente  che  lo  ascoltava,  tra una prosa  ed una  poesia,  sapeva librarsi in un crescendo pieno di immagini e di situazioni  intimamente coinvolgenti.        

Quanta commozione sapeva trasmettere quando, certo di  avere l’anima dell’uditorio  in  pugno,  dal  palco recitava “littra a una mamma tedesca”,  una  delle  poche  poesie  che conservava a memoria: con voce singhiozzante di chi  aveva veramente patito la causa insensata  della guerra,  e di chi era stato  costretto a mietere morte in obbedienza  a  un atto  violento  e  assurdo,  chiedeva  scusa  con  i  suoi  versi  dialettali,  unico suo risarcimento  spendibile,  alla madre  di  un  soldato  tedesco  da  lui  ucciso a colpi di mitragliatrice sul fronte  del  Piave. 

Altra poesia che recitava a memoria con calibrata teatralità e con vibrante patos era “Ncuntravu o Signuri”, testo che  pur  rappresentando una sua dichiarazione di agnosticismo  nei confronti della religione, ammetteva comunque la presenza di Cristo sulle strade del mondo.  
Come mandare via dalle orecchie e  scordare  il canto  all’aperto  che  sgorgava  dalla sua  voce, in  ultimo roca  ma  tenera ed affascinante,  quando  declamava  fra  le altre  ”Parru cu tia”  o  “Lu tempu e la storia”,  forse dedicata questa a Carlo Levi.

Pier  Paolo Pasolini con  molto  affetto lo definì  “sentimentale  ed  estroverso, ingenuo e tormentato”,  ma  noi che  lo abbiamo conosciuto nell’ultimo ventennio della sua vita possiamo solo dire del suo spessore umano, della sua consistenza poetica  che  usciva  fuori  dai  registri della scrittura per assumere anche fisicamente la dimensione  di poeta, dimensione che è stata riferimento a molti giovani poeti dialettali  e  non,  a prescindere  dalle  tendenze e  dalla collocazione letteraria in cui ognuno potrà essere inserito.

 Le opere

Sintimintali”- Poesie con prefazione di G. Pipitone Federico, Edizioni Sabio, Palermo 1923;
“Marabedda”- Edizioni La Terrazza, Palermo 1928;
“Lu pani si chiama pani”- Traduzioni in versi di Salvatore Quasimodo, illustrazioni di Renato Guttuso, Edizioni di Cultura Sociale, Roma 1954;
Lamentu pi la morti di Turiddu Canivali - Traduzione di Franco Grasso, Edizioni Arti Grafiche, Palermo 1956;
“La peddi nova”- Prefazione di Carlo Levi, Edizioni Feltrinelli, Milano 1963; 
“Lu trenu di lu suli” - Introduzione di Leonardo Sciascia, edizioni Avanti!, Milano 1963;
“La paglia bruciata” - Prefazione  di R. Roversi  con  una nota di  Cesare Zavattini, Edizioni Feltrinelli, Milano 1968;
“Io faccio il poeta” - Prefazione  di  Leonardo Sciascia,  Edizioni Feltrinelli,  Milano 1972 (Premio Viareggio);
“Il cortile degli Aragonesi”- (rielaborazione  di  un’opera  teatrale di autore ignoto) Editore Giannotta, Catania 1974;
“Il poeta in piazza” - Edizioni Feltrinelli, Milano 1974;
“Prime e nuovissime” - Gruppo Editoriale Forma, Torino 1983;
“Le pietre nere” - Edizioni Feltrinelli, Milano 1983.

Note di Leonardo Sciascia


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La nostra Associazione e la Fondazione Ignazio Buttitta nel'anno 2006 hanno realizzato: 
"La mia vita vorrei scriverla cantando
  
8 Recital dedicati al Poeta, effettuati in alcuni Istituti Scolastici della Sicilia.
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