Intervista a Nonò Salamone
di Lina Vizzini

Tratto dalla sua tesi di Laurea "Storie di Cantastorie".
                                                   



  • Fin da ragazzino cantava nelle feste popolari di piazza; quali canti e di quali autori?
    Cantavo le canzoni che circolavano in quei tempi, avevo una bella voce e un’orchestrina del paese mi volle a cantare con loro. Ero molto amato dalla gente, anche perché le forme di spettacolo erano poche, e non c’era la televisione. Mi ricordo in una serata in piazza, finito di cantare, due musicisti da sopra il palco mi hanno buttato in aria in mezzo alla gente e sulle mani del pubblico attraversai tutta la piazza fino ad arrivare dentro un bar e gli ultimi che mi avevano in braccio mi hanno offerto un bel Gelato. Ma nello stesso tempo mi piaceva ascoltare le storie, in versi, di mio padre, che imparavo a memoria. E facevo il paragone con quello che cantavano  i cantastorie che venivano in piazza, al paese, li vedevo tutti rivali, per me il migliore era mio padre.

  • Come nasce in Nonò la passione per il canto?
    Diciamo che la passione per il canto, nasce prima di me. Mia madre mi raccontava che quando mi portava in pancia, io battevo il tempo quando lei ascoltava musica. Forse è esagerato Però? Posso dire con certezza che, ho sempre cantato.

  • La definiscono “figlio d’arte”. Qual era il mestiere di suo padre?
    Mio padre pur completamente analfabeta, è stato riconosciuto da intellettuali e scrittori come uno dei più bravi poeti contastorie della Sicilia popolare (da Buttitta a Profazio a Melo freni etc..)

  • A 17 anni lascia la sua terra in cerca di lavoro, ricorda ancora il suo stato d’animo alla partenza?
    La mia prima partenza è descritta nella mia seconda ballata in lingua siciliana Che faceva così:
    Mamma mia mi ‘nni vaiu
    a travagliari ‘unni codda lu suli
    e ta lassari cu tantu duluri.
    Patri mia nun pinsari
    ma raccumannu a tutti l’amici
    aviti cura a ‘sti du’ vicchiareddi
    .
  • Cosa lascia in Sicilia?
    Se avessi potuto me la sarei portata con me, ma ho dovuto lasciarla con tutti i miei affetti.
  • Dopo due anni di permanenza a Milano si trasferisce in Germania, di giorno lavora in un cantiere edile, ma la sera si esibisce con il suo complesso. Si esibiva per gli emigrati?
    Suonavo e cantavo per tutti anche per i tedeschi, la musica italiana era molto apprezzata.

  • Qual era il suo repertorio?
    Tutte le canzoni di successo
  • Quali canti erano più richiesti?
    Le canzoni di Adamo, di Fred Bongusto e tanti altri.
  • Poi torna in Sicilia, ma
    Speravo di riuscire a lavorare e vivere una vita serena, ed il lavoro ce l’avevo, ma presto mi resi conto che vivere nella monotonia del paese mi faceva sentire arrivato, pur facendo mille cose, ero fermo non riuscivo ad andare oltre le solite cose. Oggi penso che avevo bisogno di altre esperienze e conoscere meglio la vita.

  • Si trasferisce a Torino, lavora in fabbrica. È l’esperienza personale che fa nascere l’esigenza di raccontare le vicissitudini del popolo siciliano attraverso il teatro?
    Ero ricco,e non sapevo di esserlo; avevo un patrimonio dentro, e non me ne accorgevo. Tutto è successo così per caso, a Torino, Un regista (Pier Giorgio Gili del Teatro Zeta) doveva realizzare uno spettacolo sulla poesia del poeta Ignazio Buttitta, e cercava uno che sapesse cantare in siciliano. Io ero fresco, fresco di una partecipazione ad un concorso di voci nuove con la RAI (La piccola ribalta). Così feci un provino e per Gili andavo benissimo cominciammo a lavorare. 

    Ho dovuto musicare molte poesie di Buttitta, ma la cosa più bella è stata che, il regista riusciva a tirare fuori dei miei ricordi d’infanzia parte dello spettacolo “Lu pani si chiama pani.  E dopo qualche mese ancora un’altro “Apriti terra e dammi sepoltura”. All’inizio pensavo che fosse una perdita di tempo e che mai nessuno sarebbe venuto a vedere quei spettacoli che ritenevo noiosi. Ma piano, piano cominciai a ricredermi ed apprezzare quel genere di cose, cominciavo a ritrovarmi a riconoscermi: il grano che aspettava per essere mietuto per me era un’ossessione, quando era tagliato mi graffiava; la paglia delle fave durante la trebbiatura mi dava il prurito; la raccolta delle mandorle sotto il sole cocente era un dramma, la mancanza d’acqua per potersi lavare mi faceva stare male. 

    Tutte queste cose vissute da bambino in un modo traumatico di colpo stavano assumendo un’altro significato, mi davano fastidio gli stessi giornalisti che quando scrivevano di me, mi appellavano come cantastorie, lo trovavo misero e poco gratificante. Di colpo ritrovavo la mia storia e quella dei miei antenati. Così le vecchie nenie, i canti di lavoro, le grida dei mercati (li vanniati), i banditori, i cantastorie, i poeti contastorie, mio padre. Erano diventati un ricchezza inestimabile.

  • Quale parte della Sicilia ama descrivere nei suoi canti?
    Tutta, io mi sento cittadino del mondo ma soprattutto siciliano.
  • Ritorna spesso a Sutera?
    Sto cinque mesi a Sutera e sette a Torino
  • Quando incontra per la prima volta Buttitta?
    Nel 1974 a Bologna è stato molto bello, uno spettacolo assieme in Piazza Maggiore e tantissima gente.
  • Cosa nasce da quall’incontro?
    Una bella amicizia e un grande affetto. Da quel giorno Buttitta, nei suoi famosi recitals, quando c’era la possibilità, mi voleva sempre sul palco al suo fianco.

  • Quali delle opere di Buttitta ha musicato?
    Cercherò di ricordarle tutte. “Lu trenu di lu suli,Turiddu Carnivali,L’ultima carta, Portella della ginestra, L’omu e la natura, La disonorata, La capitali, Vintimila picciriddi, La missa cantata, La crucifissioni, Littra a ‘na mamma tedesca, Peppi Fava, La ciaramedda, Lu cuntu, Liggennu lu Giurnali, Lu servu, La morti e l’usuraiu, Sicilia e mafia, La Sicilia, Lu funerali, Un Cristu ‘ncruci, lu tistamentu.

  • A quali di queste opere è più affezionato?
    Turiddu Carnivali, lu trenu di lu suli, lu tistamentu  e forse tutte le poesie di Ignazio, anche quelle che non ho musicato e non è detto che lo faccia prima o poi.

  • E con Ciccio Busacca ha mai lavorato?
    Tante volte e abbiamo fatto anche lunghi viaggi assieme e ne ero affascinato quando mi  raccontava la sua vita, peccato che non avevo mai un registratore.

  • Lei ha  musicato  "U lamentu pi la morti di Turiddu Carnevale". È vero che Busacca ha pianto dopo averla sentita cantare?
    Busacca era molto critico e se non era d’accordo su una cosa diventava lapidario. Fu il primo spettacolo fatto da me Busacca e Buttitta in un paesino vicino a Enna. Prima di cantare chiesi l’autorizzazione a Busacca se potevo cantare Turiddu Carnivali con la mia musica, e lui anche se con un po’ di diffidenza mi diede il permesso. Avevo una paura pazzesca cantare quel brano così impegnativo davanti all’autore e davanti al cantastorie che l’aveva portato al successo. Ci ho messo tutta la carica che ci voleva ed è stato un grande successo. Alla fine Busacca mi ha abbracciato con le lacrime agli occhi e mi disse “mi hai commosso, si vede che sei giovane ed hai una grande forza”. Da quel momento anche con Ciccio siamo diventati molto amici.

  • Lei ha mai pianto durante un’esibizione?
    Sempre se il posto dove canto è giusto. Purtroppo spesso capita di cantare in posti sbagliati, con acustiche assurde, e con gente che organizza banchetti e vuole il cantastorie, in quei casi rifiuterei l’impegno ma per campare si fanno anche questi sacrifici. 

  • Saprebbe descrivere le sue emozioni quando canta “U lamentu pi la morti di Turiddu Carnevale”?
    Mi ricordo quando la cantai nella piazza di Sciara per il cinquantesimo anno della sua morte,         nella piazza c’era solo gente venuta da fuori: da Milano, da Roma, da Palermo e da altri posti. Pochissime erano le persone del posto, e le finestre della piazza erano tutte chiuse.  cantai con tutta la rabbia “Puvureddi nisciti di li tani, morsi ammazzatu pi lu vostru pani” La mia pressione sicuramente in quel momento era molto alta.

  • Lei è descritto come uno degli ultimi cantastorie della vecchia generazione, ma non è vecchio
    Credo che questo sia sbagliato. Io non penso di essere un cantastorie di vecchia generazione, credo di essere un cantastorie che ha saputo ereditare dagli ultimi grandi, la forza dell’interpretazione. Una storia deve essere cantata e recitata col cuore, di fatto le mie storie sono anche di attualità e con musiche che hanno suoni e motivi nuovi, e spesso non superano i cinque minuti. Una volta le storie duravano anche due ore e sempre con lo stesso motivo.

  • Si considera l’erede di Busacca e Buttitta?
    Sono convinto di rappresentarli dignitosamente.
  • Ha vissuto  l’esperienza della piazza negli anni sessanta. Con l’avvento del progresso ha dovuto modificare la sua forma comunicativa?
    Solo con mio padre che faceva il contastorie,  le sue storie le voleva raccontate solo da me! E duravano anche due ore oggi i tempi sono ridotti di tanto

  • Cosa, da allora, è cambiato?
    La televisione credo  abbia ucciso tante forme di arte, ormai la gente mangia solo barzellette e volgarità!  Non c’è più posto per la cultura e per le cose semplici, bisogna far scoppiare la terra per fare spettacolo. E’ triste ma è così ! Io non mi arrendo, ormai so fare solo questo, non posso cambiare mestiere!

  • Cosa, invece, è rimasto inalterato negli anni nello stile artistico di Nonò Salamone?
    Cantare col cuore
  • Ha mai avuto problemi a causa del suo mestiere di cantastorie?
    Solo per un breve periodo: dopo l’assassinio del generale Dalla Chiesa, avevo uno spettacolo dal titolo “La mafia spara la poisia rispunni”  e in diverse occasioni, in Calabria, in Sicilia  e poi di notte col telefono a Torino qualche piccolo problema c’è stato, dovevo smettere di fare quello spettacolo.

  • Tra gli artisti di ieri con chi vorrebbe esibirsi?
    De Andrè
  • E tra gli artisti di oggi?
    Non lo so
  • Che rapporti ha con i giovani?
    Ottimi, se hanno la possibilità di ascoltarmi, alla fine se ne vanno cantando le mie ballate.
  • Attualmente in che cosa è impegnato?
    Sto recuperando dei vecchi cunti
  • Teatro, televisione…quale altra esperienza vorrebbe vivere Nonò Salamone?
    Ho già fatto tanta televisione e diversi spettacoli teatrali. Fare televisione oggi è quasi impossibile, perché ai dirigenti interessano altre cose; fare teatro è faticoso, ma lo farei volentieri ancora. Però va bene lo stesso quello che faccio così mi avanza tempo, per pensare.  E’ importante.

  • Ha rimpianti artistici?
    No, sono contento di ciò che ho fatto.
  • Tornerebbe a vivere nella sua terra?
    Di corsa! Mi sono fatto la casa.
  • Quale messaggio lancia ai cantastorie di nuova generazione?
    Spero di vivere almeno come Ignazio Buttitta! Per fare amare sempre di più, alle nuove generazioni attraverso la musica, tutte quelle cose che caratterizzano il nostro essere dei buoni siciliani.

  • Vuole aggiungere qualcosa di suo all’intervista?
    Le faccio tanti auguri e non si dimentichi mai questi artigiani della musica.
  • Mi regalerebbe qualche verso inedito?
    Iu sugnu cantastorie e cantu ancora

    figliu di lu poeta di Sutera
    a sidicianni mi nni ivu fora
    e ‘sta chitarra aiu pi turlintana.

    Picca nni potti sentiri di scola
    la vita l’haiu passatu agnuna agnuna
    scusa addumannu si sbagliavu rima
    la prossima vota ti la fazzu bona.

    Lina ti dugnu ‘na stritta di manu
    mi firmu Salamuni e mi nni vaiu.
  • Mi autorizza a pubblicare l’intervista?  
    Con Piacere.

  • Grazie

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