L'OPRA DEI PUPI SICILIANI

                                           di Erika Clemente

 

Festa di San Calogero
Reportage Fotograficoo


 SOMMARIO PAGINA E INDICE

                    
                    

L’opra dei Pupi è la  forma  più visitata del Teatro di Figura

Risulta estremamente difficile  individuare  con  certezza in quale periodo nascono le marionette armate  con repertorio  cavalleresco ed il luogo da cui inizia questa tradizione.    

Si ha notizia che pupi  con  armature rudimentali esistevano già  nell’800 in alcune città italiane, come  Roma, Napoli, Genova etc, ma è in Sicilia dove questi si evolvono per divenire il pupo che oggi conosciamo.   La diffusione in un’area  prettamente meridionale  induce  alcuni  a  sostenere  la  tesi  di un’ origine  spagnola  del teatro dei  pupi, essendo  il  mezzogiorno  fortemente influenzato non solo politicamente, ma anche culturalmente dalla Spagna.  

Purtroppo non si sa però né per quale via, né quando, queste marionette siano arrivate in Italia.
Sul  finire  del 700  comunque,  a Napoli come a Palermo,  troviamo marionette  di vario genere che non erano però ancora veri “pupi” essendo essi molto rudimentali, costruiti per lo più di cartone e stagnola. Di vero e proprio pupo quindi, si inizia a parlare intorno alla metà dell'800 dove la bravura e l'intuizione degli artigiani siciliani fanno compiere un salto di qualità a quel rozzo pezzo di legno e stoffa.
 

Si cominciò a ricoprire il pupo con armature di metallo lavorato arricchite da cesellature, sbalzi e arabeschi e gli accorgimenti tecnici si fecero sempre più ricercati:
il filo che comandava la mano destra del pupo venne sostituito da un'asta di ferro, cosi che l'oprante poteva far compiere, al pupo, azioni più precise come estrarre e riporre la spada nel fodero, abbracciare una dama, battersi il petto o la fronte con il pugno, abbassare la visiera dell'elmo etc. e contemporaneamente vennero cuciti vestiti, mantelli e gonnellini con stoffe sempre più belle e preziose. - Questo processo di sviluppo durerà fino ai giorni nostri, dando vita a pupi sempre più belli e raffinati e sviluppando parallelamente anche tutti quei trucchi e accorgimenti scenici atti ad una rappresentazione d’alto livello artistico. -

Solo agli inizi del 19°secolo  quando l’interesse per il  popolaresco e per le sue forme di vita  spinse i dotti e la nuova  classe borghese ad interessarsi  di quello che  si credeva fosse  il  vivaio più genuino delle patrie  memorie,  solo  allora l’opra non fu più soltanto  un  semplice  passatempo,  ma una cosa molto più seria, quando cioè (scrive  Ettore Li Gotti)  "l’anima  dei  pupi divenne  l’espressione dei sentimenti e delle aspirazioni di giustizia di una classe sociale".

Durante le rappresentazioni, gli opranti riuscirono ad infondere nell’animo dei pupi quell’espressione di sentimenti, giustizia e libertà di cui il popolo, e non solo il basso ceto ma ancor più la borghesia e il ceto dotto, si fece portatore nella Sicilia del primo ‘800. 
L’Opera dei Pupi, quindi, ebbe anche valenza propagandistica e non è un caso se il pubblico dell’opra e lo stesso che combatté contro i Borboni per liberare la Sicilia oppressa dagli stranieri
.

Il popolo, dunque, trovò i suoi eroi nell’Opera dei Pupi e nei racconti cavallereschi, questo spiega l’attenzione e la costanza con cui il pubblico seguiva, sera dopo sera, storie ed avventure che si protraevano anche per diversi mesi. 
La partecipazione del pubblico, alla rappresentazione, non era quindi passiva ma si spingeva fino al coinvolgimento emotivo: applaudendo i paladini e fischiando i mori e a volte lanciando oggetti contro il palcoscenico o addirittura, in qualche caso, uno spettatore “esaltato” sparava, vere e proprie revolverate, contro il pupo “traditore”.

E’ da ritenersi infondata l’ipotesi che  il teatro dei  pupi siciliani  sia  nato dall’importazione  di  alcune  marionette  napoletane in Sicilia  per  opera  di Giovanni Grasso,  perché  già  prima del 1860, anno  in cui  il  Grasso  ritornò nella  nostra  isola,  l’esistenza  dell’opra  è  documentata  sia  a  Palermo  che a Catania.    

Tuttavia è da tenere presente che  esiste  una  reciproca  influenza  tra  l’esperienza  napoletana  e quella siciliana,  ma  ciò  non  significa che esista un solo nucleo  originario.
Un  ruolo determinante  è stato quello del cuntastorie, che era una sorta di puparo  mancato,  cui  solo  le  limitate  possibilità  finanziarie impedivano di allestire un teatro dei  pupi,  affidandosi,  così,  all’arte della parola,  imparando tutte  le  regole  della narrazione; divenendo negli anni  un cuntista.

Si  trattava  quasi  sempre di povera gente, che viveva alla giornata, e che non poteva  permettersi  di  acquistare  tutti  gli  attrezzi del mestiere per divenire puparo. Esso offriva, nelle sue rappresentazioni un comodo repertorio già in parte sceneggiato e dialogato.

Storicamente  il cuntastorie  era un narratore che non utilizzava alcuno  strumento musicale (usato molto tempo dopo dai cantastorie),  ma usava  modulare la voce con una tecnica tutta particolare,  con regole  precise di tempo,  ritmo  ed esposizione orale che si tramandava  di generazione  in  generazione. Non importava se era analfabeta o ignorante,  la sua capacità  era quella di apprendere e reinventare  la vita  usando  forme epiche collaterali derivate da  motivi  storici quale lo scontro tra  cristiani  e pagani,  dal ricordo  cocente  di lunghe lotte contro i pirati turchi,  da  un forte sentimento religioso  che contrappone  il trionfo del bene alla mortificazione del male.  

Il teatro  dei  pupi siciliani,  nella  seconda  metà  dell’ottocento, volendo mantenere  la valenza epica, si è specializzato in questa direzione,  ereditando tutto il patrimonio dei cuntastorie.   

Nella prima metà dell’ 800  i  marionettisti   girovaghi,  rafforzano  il  carattere  professionale  del  loro lavoro.  Si organizzano a livello impresariale  perfezionando le tecniche  espressive allo scopo di  richiamare un pubblico  sempre più vasto.  Da allora, la disponibilità degli artigiani a realizzare un pupo più elaborato e il confluire  nell’opra  la tradizione epico-cavalleresca,  grazie all'apporto di Giusto Lodico che realizzò un' opera in quattro volumi della storia dei paladini di Francia, (che ancora oggi rappresenta la base trainante dell'opra dei pupi), costituiscono i due poli di un rilancio in maniera più articolata del fenomeno.

                                                                                                                                                          
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Struttura e Costruzione del Pupo
                                                                      

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La   struttura  di  base   del  Pupo è  costituita  da  tre  elementi  fondamentali:  Legno  Metallo e Stoffa;   
di legno sono:  la testa, avambracci  e mani, busto e gambe;
di metallo: i giunti  che uniscono le gambe al busto, i giunti  delle ginocchia (nei pupi Palermitani), l'asta che serve a  sorreggere il pupo (parte integrante della testa)  che attraverso un  gancio si collega al busto, e, una seconda asta in metallo, inserita nella mano destra (evoluzione del pupo siciliano); 
di stoffa: le braccia, che uniscono gli avambracci al busto.

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La parte più difficile da costruire è la testa del Pupo. Essa si può realizzare utilizzando il legno e in qualche caso la creta. In passato tale compito era affidato ad esperti artigiani, (come tratteremo più avanti) col passare del tempo è stato lo stesso Puparo ad occuparsi di tale compito che svolge grazie anche all'ausilio di calchi in piombo. 

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Repertorio Ornamentale dei Pupi
                

Nella preparazione dei  pupi,  che svolgono la  funzione di eroi  e di  protagonisti, oltre che la ricercata  ed  attenta  espressività  dei  volti,  bisogna  tenere  conto soprattutto del repertorio ornamentale delle armature realizzate con materiali vari quali: rame,ottone e alpacca (una lega conosciuta anche come argentana, composta da rame al 50%, nichel al 20% e zinco al 30%),  lavorate con la  tecnica  a sbalzo Nella scuola palermitana vengono inoltre abbelliti con motivi arabeschi e decorazioni in ottone, che vengono poi saldati a stagno nell'armatura, rendendola così più pregiata.   

La scelta del disegno non è casuale,  né viene affidata alla creatività dell’artigiano, ma fa preciso riferimento  a  canoni  prestabiliti, utilizzati per individuare  il personaggio.
I vari personaggi hanno un diverso abbigliamento in base al loro ruolo. Esso prevede una "faroncina", cioè un gonnellino, e dei pantaloni alla zuava per i Pagani, i Paladini oltre al gonnellino hanno anche delle calze lunghe a coscia, i Mori, invece, indossano una tunica e portano uno scudo solitamente rotondo, una lancia e un turbante.

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Orlando, è senza dubbio il protagonista indiscusso delle vicende dell'Opera dei pupi; egli è il più valoroso dei paladini di Carlo Magno, ed è un personaggio realmente esistito nel 700, le cui imprese eroiche sono cantate alla fine dell'XI secolo nella Chanson de Roland; caduto nella battaglia di Roncisvalle (778), questi divenne nelle chansons de geste il simbolo delle virtù eroiche e cortesi.

Sulla scena egli è il più valoroso tra i cavalieri di Carlo Magno, a cui salva la vita, è dotato di grande coraggio ed è animato da sentimenti di grande fedeltà e lealtà nei confronti del suo re; tra i personaggi dell'Opera dei pupi è quello in cui maggiormente storia e leggenda si confondono.

Viene rappresentato con una colomba sul cimiero, sulla corazza e sullo scudo
, porta  abiti e mantello rossi, la tipica faroncina, con delle calze lunghe a coscia.

Carlo Magno,  il potentissimo Imperatore di  Francia viene presentato in due versioni, la prima, da corte,  con  una  tunica  ricamata, una  ricca  corona  e un mantello di velluto; la seconda,  da battaglia che comprende  l’elmo  incoronato e  lo scudo esagonale  con  l’insegna  del  giglio di  Francia,  severo  il  volto, e scura  la barba.

Altre due figure che non potrebbero mancare e che ruotano costantemente attorno al protagonista, fungendo da corollario, sono Angelica, la donna saracena per cui lo stesso Orlando impazzisce d'amore perdendo il senno che soltanto sulla luna riuscirà a ritrovare.

Rinaldo, cugino di Orlando, secondo cavaliere della corte di Carlo, dal carattere benevolmente ribelle, che lo ha reso particolarmente amato dal pubblico.
Viene rappresentato con il leone sul cimiero, sulla corazza e sullo scudo. I suoi abiti sono verdi.

Non possono certamente mancare, accanto ai personaggi che incarnano virtù quali il coraggio e l'onestà, altre figure - se vogliamo "negative" ma altrettanto indispensabili - che i paladini valorosi devono sconfiggere per riaffermare ogni volta la supremazia del bene sul male.
  

Gano  di Magonza,  il traditore,  figura piccola  e goffa con grandi baffi,  lunga barba e degli sfregi in viso. Sullo scudo e sul petto ha incisa la M  dei Magonzesi, che il pubblico  interpretava  come malvagità e malizia e
i guerrieri saraceni, dei quali si identificano i più importanti: Ferraù, Agramante, Marsilio, Agricane, Rodomonte, Mambrino, essi hanno come segno distintivo il volto scuro e truce ornato da baffi all’ingiù.              

I personaggi femminili si richiamano invece ad una visione bambolesca della donna, dal viso rotondo ed ingenuo,  dagli  occhi  vividi a da  lunghi capelli ricadenti sulle spalle; le  guerriere (Bradamanti) invece, sono caratterizzate da armature ed armi con le insegne del  proprio casato. Nel 1° ottocento  Angelica, Berta, Claudiana e le  altre donne illustri vestono secondo  la moda di quell’epoca,  su un tono più dimesso sia nel vestiario, che nelle armature, troviamo i personaggi minori,  le figure ordinarie e le comparse.
                                                                                                                                
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Le due Scuole - la Catanese e la Palermitana            

Al di là degli elementi stilistici unitari esistono due scuole di pensiero, quella Palermitana e quella Catanese, che sono molto diversificate nella costruzione del pupo, alle quali  pupari  di  altre  località  siciliane: Acireale, Agrigento, Messina, Trapani, etc. si  rifanno, aggiungendo delle  particolarità  personalizzate;  dobbiamo però dire per onor di cronaca, che lo stile palermitano e  quello  più  diffuso.

La prima  distinzione  riguarda la stessa  dimensione  del pupo, che  a Palermo presenta  un’altezza simile a quelle delle marionette classiche, tra gli 80 cm e il metro dal peso di 13,14 kg., mentre  a Catania si trovano pupi alti un metro e trenta cm e in alcuni casi possono pesare quasi 30 kg.  

Una  seconda  variabile,  ancora  più importante e decisiva per  la  dinamica teatrale,  riguarda il movimento  e le articolazioni. In pratica il  pupo palermitano ha le ginocchia snodate, con cubitiera, ginocchiere  ed  elmo con visiera mobile, che consente un andamento più aggraziato ed una scioltezza mimica di tutto il corpo, che influisce moltissimo sul modo di dialogare,  di gestire e di combattere e alcuni possono anche muovere gli occhi e la bocca. La mano destra è realizzata con il pugno chiuso, e ha un buco al centro, nel quale passa un filo che legato al pomo della spada consente di estrarla e riporla nel fodero. Altra importante differenza consiste nel fatto che durante i combattimenti la testa di alcuni pupi può cadere o addirittura che alcuni di essi vadano letteralmente a pezzi.

Il pupo catanese invece, ha gli arti inferiori  bloccati e scoperti, gli scudi dei guerrieri sono  quasi  tutti
rotondi,  la  spada  è fissata alla mano destra, la visiera dell'elmo non è mobile ma fissa e gli schinieri coprono la parte anteriore della gamba. Le corazze sono decorate con l'aggiunta di piastre pendenti. Per quanto riguarda gli addobbi e i vestimenti essi sono un pò più raffinati rispetto a quelli palermitani. Nel movimento il pupo è più rigido, non può inginocchiarsi  ed ha una cadenza quasi irreale anche perché non poggia per terra ed è sorretto da catene ancorate alla parte alta del teatro
.  

Anche la manovrabilità del pupo ha le sue varianti;  a Palermo  la  leggerezza  ed  il  minor peso del pupo rendono possibile un maneggio laterale, eseguito con il puparo in piedi che lo sorregge con le braccia tese, l’articolazione delle ginocchia  ne  permette  un  passo  sciolto e una grazia  quasi  di  danza.   

A  Catania la mole del pupo  costringe il manovratore ad una posizione alzata o supina su un palchetto appositamente costruito sopra il teatro vero e proprio, per cui il pupo si muove quasi sempre accostato  al  fondale  di  scena e  fatto scorrere,  durante le battaglie, per tutta la lunghezza del teatro. Per quanto riguarda il teatro vero e proprio c’è da dire che quello catanese per ovvi motivi è molto più grande e può arrivare anche a 10 m. di lunghezza, esso in genere si preparava all'interno di magazzini o scuderie. Si hanno anche qua delle differenze sostanziali; nei teatri dell'area Palermitana le sale avevano un'ampiezza inferiore rispetto a quella Catanese, e il boccascena del teatro ha decorazioni molto ricche  che simulano i panneggi, mentre in quello catanese i panneggi sono reali. 
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Anche l’iconografia ha le sue differenze
                

Per pubblicizzare una rappresentazione, i maestri pupari si servivano di cartelloni appositamente dipinti

A Palermo si adoperavano  dei cartelloni di carta di imballaggio dipinti a tempera (tra il 1920 e il 1950) larghi 2 m. e  lunghi 3 o 4 m.,  suddivisi  a  scacchi  (come quello usato dai cantastorie),  nei quali erano illustrati i momenti salienti degli episodi, che  dovevano  essere  rappresentati nel corso della settimana; i riquadri  variavano  da  un  minimo  di sei,  per  gli  avvisi  ordinari,  ad  un  massimo  di  dodici  per  gli avvenimenti più importanti del ciclo, come per la rappresentazione della Rotta di Roncisvalle.

A Catania invece i cartelloni (realizzati nello stesso modo di quelli palermitani) proponevano un solo grande riquadro con il quale si reclamizzava la scena madre e centrale dello spettacolo di ogni giorno.

Spesso  erano  gli stessi pupari come Giuseppe Argento di Palermo che preparavano i cartelloni o nella fattispecie facevano ricorso ai pittori di carri. Famosi e bravissimi cartellonisti palermitani furono: Nicolò Rinaldi detto “Faraone”,  Nunzio Coppolone e Giovanni Di Cristina.     

Da notare che questi cartelloni  erano  tramandati  da  padre  in figlio per cui ogni puparo ne aveva sempre pronte moltissime per le varie necessità di scena.   Dopo il 1950  questi quadri furono dipinti  su tela di cotone.  

Dubbia è però l’individuazione delle fonti iconografiche dalle quali discendono i disegni e i tratti figurativi di questi cartelloni.    Il problema  comunque  s’inquadra  in  una ricerca decorativa che tiene conto degli esempi offerti  da   una  vasta  produzione  di  stampe  e  immagini  popolaresche.   

Nel 1858  viene pubblicata  la Storia dei Paladini di Francia di Giusto Lodico corredate da disegni  di Mattaliano,  che  a  loro  volta  rimandano  alle  xilografie e riproduzioni cinque-seicentesche avvenuta  nei  primi anni del secolo. Alcuni  studiosi, tendono a risalire ad uno stile composito di elementi bizantini, arabi, francesi, spagnoli etc., ma la storia dei pupi in effetti coincide con le vicende delle famiglie dei marionettisti.
                                                                                                                                                         
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Il Repertorio Teatrale
                                          


T
ra le principali tematiche trattate dall'Opra occorre ricordare che quella prevalente è la trattazione di soggetti cavallereschi.  Le fonti principali per questo tema sono le Chansons de Geste ed il romanzo arturiano. Dalle Chansons de Geste deriva il Ciclo Caroligio che abbraccia un periodo storico che va dalla morte di Pipino il Breve a quella dell'Imperatore Carlo Magno. Il Ciclo di Carlo Magno prevede una sua particolare suddivisione: "La storia di Ettore e dei suoi discendenti", "I Reali di Francia da Costantino a Carlo Magno", "Storia dei Paladini di Francia", "Guido Santo e i discendenti di Carlo Magno". Questo ciclo, insieme a "La storia dell'Imperatore Trabazio" e "Il Guerin Meschino", sono stati rappresentati in tutta la Sicilia.

Gli opranti, in una prima fase, per rappresentare gli episodi dei paladini, attinsero a piene mani dalla Chanson de Roland, dai Poemi Cavallereschi e da I Reali di Francia di A. Barberino, riconducendo i diversi episodi ad un'unica storia che partendo da Milone conte d’Anglante si concludeva con la morte di Rinaldo.

Bisogna però attendere il 1858, quando l’intuito di un maestro elementare, tale Giusto Lodico, diede vita ad una poderosa opera in 4 volumi, intrecciando i vari poemi epico-cavallereschi del ‘400 e del ‘500, pubblicata in diverse edizioni, anche a dispense dal titolo Storia dei Paladini di Francia, che rappresenta tuttora il fondamento dell’opera dei pupi.
L’opera del Lo Dico è considerata la Bibbia degli opranti, essa è stata utilizzata come riferimento alla stesura delle sceneggiature utilizzate nelle rappresentazioni da tutti i pupari.

Descrivere la storia dei Paladini di Francia non è impresa facile poiché il più delle volte il mito supera la realtà e fa sì che avvenimenti storici, come l’episodio di Roncisvalle, perdano le loro connotazioni reali per sfociare nella leggenda. La linea di demarcazione tra storia e leggenda si assottiglia a partire dalla Chanson de Roland, dove l’idealizzazione e l’esaltazione dell’eroe cristiano raggiungono l’apice, per scomparire  definitivamente ad opera dei poemi epico-cavallereschi del 1500, Il Morgante  di Luigi Pulci prima, l’Orlando Innamorato di Matteo M. Boiardo, lOrlando Furioso di Ludovico Ariosto e la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso dopo, aggiungono nuovi episodi e nuovi personaggi alla realtà storica, tramutandola definitivamente in leggenda.

Sostanzialmente la storia dei paladini di Francia narra le innumerevoli battaglie tra cristiani e mori nella Spagna  dell’VIII secolo d.C. ed in particolare racconta della dolorosa sconfitta di Roncisvalle, in cui persero la vita, vittime di un’imboscata, le più valorose “spade” cristiane e fra tutte il prode Orlando ed il saggio Oliviero.

Il repertorio, in  qualche caso, si discostava dalle programmazioni classiche  per raccontare l’attualità, utilizzando spesso storie di vario genere tra le quali quella del brigantaggio.  All’epoca  uno dei primi fu Don  Liberto  Canino  (come  ci  racconta Giuseppe Pitrè)  che  portò  sulla  scena  temi  come: “vita e morte di Giordano Bruno”  ricavata  da  un  racconto  di  Dumas,  “vita  morte  di  Antonio Di Blasi Testa Longa  che suscitò a quel tempo grande entusiasmo ed infine i “Beati Paoli” tratti  dal  Linares.  Don Liberto incluse anche nel suo repertorio spunti di due opere di  Shakespeare:  il Macbeth  e  Giulietta e Romeo.

Una nota storica ci mette a conoscenza che nelle  rappresentazioni dell’opera dei pupi e dei cuntastorie siciliani si riunivano i rivoluzionare, che comunicavano con il popolo attraverso il "Paccaglio", un linguaggio molto particolare che la polizia non conosceva e non comprendeva. Spessissimo si facevano anche delle allusioni, dei riferimenti a problemi e fatti politici, irridendo i potenti di turno. Non stupisce che molto spesso il teatro dei pupi e il cunto fossero considerati pericolosi in quanto istigatori  di  atteggiamenti  mafiosi e rivoluzionari.   Non è mai mancata  in ogni  caso  nemmeno  una  loro  difesa  da  parte  d'intellettuali  e uomini di cultura, (come ci fa sapere  Sebastiano Burgaretta,  studioso  di tradizioni popolari) che asserivano a più riprese come questi spettacoli sottolineassero gli aspetti positivi del carattere dei siciliani.
                                                                                                                                                          
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I Paladini di Francia
                               

Il termine Paladino, dall’aggettivo latino palatinus (del palazzo), descrive ciascuno dei 12 Pari al servizio nell’esercito di Carlo Magno,  essi ricoprivano le cariche più alte dell’ordine militare e costituivano una sorta di guardia d’onore dell’Imperatore. I Paladini o Pari erano scelti personalmente da Carlo Magno e obbedivano solo al re, ciascuno dei Pari era un nobile, conte o duca, e doveva possedere particolari virtù: fede, lealtà, forza e sprezzo del pericolo.

Vi sono pareri discordanti circa i nomi dei 12 Pari, per alcuni testi essi erano: Orlando - Olivieri - Berengario - Ottone - Gerino - Ivo - Avorio - Genieri - Ansegi - Sansone - Gerardo - Engelieri. 

Secondo la Chanson de Roland erano invece: Orlando - Oliviero - Turpino - Oggieri il danese - Riccardo il vecchio - il nipote Enrico - Accellino di Guascogna - Tebaldo di Reims - il cugino Milone - Geriero - Gerino - Gano.

Nell’opera dei pupi troviamo alcuni dei personaggi elencati in precedenza e altri presi in prestito dai poemi epico-cavallereschi, mischiando così ancora di più mito e realtà. A confondere ancora una volta le acque ha contribuito la Scuola Catanese, che deve a suoi opranti le invenzioni di personaggi come: Uzeda - Erminio della Stella d’Oro - Gemma della Fiamma - Guido di Santa Croce e tanti altri.
                                                                     
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I Pupari più famosi                                    

Al fenomeno palermitano da le origini Don Gaetano Greco (1813-1874)  che  sarà  seguito  nella  professione dai due figli, Achille e  Nicolò;  quasi  nellostesso periodo  iniziò Don Liberto Canino  che  fu  il capostipite di una famiglia di pupari che operò a lungo, segnalato come riformatore dal Pitrè per aver realizzato per primo la corazza e l’elmo in metallo ai paladini, e perchè adoperò un telone (ad opera del Di Cristina) che rappresentava un episodio della storia di Sicilia  “L’ingresso a Palermo di Ruggero il Normanno” invece che il classico telone con la storia dei paladini di Francia.  

Nel catanese  il  primo  puparo fu  Gaetano Crimi 1835,  seguito dalla famiglia di Giovanni Grasso, da quella di Don Raffaele Trombetta e Sebastiano Zappalà, alla casata degli Insanguine che nasce a Bari ma poi si trapianta in Sicilia; come esponente di tale dinastia occorre citare Nino Insanguine soprattutto per la sua abilità nel dare ai suoi Pupi una sorta di umanità ed una teatralità degna dei grandi attori.

Accanto ai nomi di questi grandi maestri Pupari occorre citarne degli altri altrettanto validi. Il catanese Giuseppe Chiesa, un impresario-puparo che iniziò la sua attività con il giovanissimo Angelo Musco animando i Pupi al Teatro Machiavelli, egli creò anche dei propri teatri e va ricordato come un genio di grande fantasia ed abilità, suo rivale è senz'altro Pasqualino Amico da ricordare per la sua estrema abilità nel costruire e manovrare i Pupi e nel dar loro una voce inconfondibile ed indimenticabile.  

Altri da ricordare:  i messinesi Rosario Gargano e Peppino Grasso. Di  lunga tradizione, risalente all’inizio del  secolo e ancora  operanti  in  Sicilia sono:  la famiglia dei  Cuticchio (che si adoprano anche nell’arte del cuntastorie)  e Vincenzo Argento di Palermo, la famiglia dei fratelli Napoli di Catania,  i pupari  Nino Canino  di  Partinico  e  Agostino Profeta di Licata (AG)  che  ha  ripreso  in mano i suoi pupi per ricominciare a narrare le storie di cavalieri ed eroi come faceva il padre all’inizio  del  secolo.   

E’ importante  ricordare  che, in un primo momento, quasi  tutti  i pupari si avvalsero della collaborazione dello scrittore di dispense (dalle quali il puparo trarrà i suoi copioni), del fabbro-ferraio (per la realizzazione delle armature dei pupi) e del pittore (per la realizzazione dei cartelloni e per la decorazione del teatro); cose queste, che successivamente il maestro puparo realizzerà da sé collaborato in toto dai componenti della propria famiglia; da sottolineare che essere un bravo Puparo non significa solo essere un bravo artigiano, ma essere anche un bravo attore visto che egli ha il compito di animare i Pupi e di dar loro la voce).

Uno  dei  più  indiscussi  maestri artigiani che si è distinto  in quest’arte fu il palermitano Don Carmelo Di Girolamo scomparso  nel 1983  che realizzò la più bella serie di pupi che si conosca e lo scultore Messinese Paolo Marini,  la  cui  caratteristica era la mobilità degli occhi e della bocca dei suoi paladini.

L’opera dei pupi meraviglia ancora noi tutti, la magnificenza delle armature, la vivacità delle vesti e dei pennacchi, i movimenti aggraziati e la varietà degli intrecci delle fantastiche storie cavalleresche e non, il gusto della spettacolarità, le forti emozioni, il romanticismo popolaresco  che queste marionette di legno riescono ancora a dare.

Da sempre infatti l'Opera dei pupi ha voluto essere una sorta di metafora della vita: la battaglia dei cavalieri della Chanson de geste è stata definita "la più invisibile delle guerre invisibili", perché quella da loro combattuta rappresenta prima di tutto la lotta interiore che ogni uomo deve affrontare per difendere i propri ideali senza lasciarsi sopraffare dalle mille tentazioni che la realtà gli propone e da quelle altrettanto pericolose che albergano in ciascuno di noi.

Ciò contribuisce a spiegare il grande successo avuto dal Teatro di figura siciliano, che ha saputo mettere in scena le più comuni passioni umane in modo semplice, accessibile a tutti, ma non per questo banale, capace di far riflettere e divertire nello stesso tempo, in un'atmosfera magica popolata da draghi, mostri, angeli e diavoli.


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U
na sorta di salvaguardia di questo patrimonio artistico isolano è dato, ad esempio, dal Museo Internazionale della Marionetta
di Palermo, esso raccoglie circa tremila pezzi tra pupi, marionette e ombre sceniche, alcune delle quali rappresentano degnamente l'Opra dei Pupi Palermitana e Catanese, nonché una sezione intera dedicata alle marionette provenienti dall'estremo oriente ed alcuni esempi delle marionette napoletane. 

Anche in virtù di questo l'Unesco ha recentemente dichiarato il Teatro dei pupi "Capolavoro del patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità", attribuendo così per la prima volta un simile riconoscimento non a statue, a monumenti o a siti storici, ma ad una tipica espressione della cultura popolare. In tal modo i pupi sono stati inseriti nel patrimonio mondiale considerato degno di salvaguardia per far sì che non scompaia uno dei più originali prodotti della tradizione siciliana, ma anche dell'artigianato isolano, che con passione e dedizione ha saputo trasformare questi pupazzi in vere e proprie opere d'arte.

Bibliografia

Giuseppe Pitrè
Canti Popolari - Giochi fanciulleschi - Usi e costumi del popolo Siciliano - Storie e leggende.

Salamone Marino
Canti popolari - Leggende e storie - La Baronessa di Carini (esistono più di 500 versioni).

Lionardo Vigo
Raccolta di canti popolari

Alberto Favara
Corpus di musiche popolari (2 volumi)  

Tommaso Aiello
Tradizione e folklore di Partinico  

Mauro Geraci
Le ragioni del cantastorie (Ed. il Trovatore, Roma)

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